1945-1955 – La Cgil nello scenario locale

Nel 1951 sono 295.350 (di cui 148.111 femmine) gli abitanti del piacentino: 151.948 vivono in pianura, 101.464 in collina, 41.938 in montagna. Piacenza ha 75.943.
16.122 sono complessivamente, equamente divisi tra maschi e femmine, gli analfabeti e 1988 i laureati.
Anche negli anni Cinquanta il settore economico preminente è quello agricolo, i cui addetti sono il 49,2 % della popolazione attiva (259.427, considerata la popolazione superiore ai 10 anni, come fa il censimento 1951); seguono: l’industria che raggiunge il 25,9% con 34.607 unità e il commercio con l’11,2 %, corrispondenti a 14.976 unità.

All’indomani della fine della guerra, anche Piacenza deve avviare una faticosa ricostruzione economica delle proprie infrastrutture inerenti la filiera produttiva, le vie di comunicazione, le abitazioni, poiché pesantemente colpita, per la sua posizione e per gli insediamenti militari, dai bombardamenti bellici. La meccanizzazione del lavoro agricolo e lo sviluppo dell’industrializzazione, insieme ai lavori pubblici e privati relativi alla ricostruzione di strade, ponti, sviluppo delle vie di comunicazione ed edifici sono gli ambiti lavorativi in cui si esprimono gli interessi divergenti delle classi proprietarie e dei lavoratori. Tutto ciò in una situazione di impoverimento del proletariato, di ammassi e prelievi forzosi, di razionamenti alimentari, di indigenza.

In ambito urbanistico, due sono gli indirizzi essenziali: il primo è da ricondursi all’iniziativa delle imprese private che acquistano numerosi lotti di terreno a scopo edificatorio, tendendo a espandersi in modo particolare verso l’esterno della città, mentre il secondo riguarda l’iniziativa pubblica ad opera del Comune, che mette in bilancio, finanziando con mezzi straordinari, la costruzione di alcuni alloggi.

L’agricoltura costituisce una delle principali fonti di reddito per la provincia piacentina grazie anche a un aggiornamento costante delle tecniche produttive e a una crescente meccanizzazione; ma anche il settore industriale rileva uno sviluppo di varie attività dovuto all’ampliamento delle industrie conserviere, casearie e saccarifere.

Nei dieci anni del dopoguerra si assiste a una forte riduzione del lavoro avventizio con la tendenza alla stabilizzazione: nel 1951, i lavoratori dipendenti nel settore dell’agricoltura sono in maggioranza salariati fissi (61,01%), braccianti fissi (37,43% con 240 giornate annue), mentre gli avventizi sono complessivamente il 20%, con una forte partecipazione di donne e ragazzi, impiegati in rapporti di compartecipazione. Si riconferma anche nel secondo dopoguerra la particolare struttura della proprietà fondiaria piacentina: per il 36% riferita alla piccola proprietà (meno di 10 ettari), il 50% alla media proprietà (tra i 10 e 100), il 10% alla grande proprietà (maggiore di 100 ettari). Si coltivano in prevalenza frumento, barbabietole, pomodori, tutti prodotti avviati all’industria di trasformazione ed aumenta la coltivazione della vite.

Nell’industria piacentina prevale la piccola e media impresa ed è diffuso l’artigianato, confermando un’arretratezza antica nella capacità imprenditoriale locale. L’impiego di addetti all’industria ha un debole incremento dal ‘36 al 1951, passando dal 25 al 26% degli addetti, impiegati prevalentemente nell’industria della trasformazione del pomodoro in conserva, con 33 fabbriche e 4000 addetti, nell’industria casearia con 117 caseifici industriali 39 sociali e 7 aziendali nel 1956, nelle industrie saccarifera, molitoria, dei laterizi (RDB e Cementirossi). Resiste faticosamente, anche a causa della concorrenza degli stabilimenti nelle province vicine, l’industria dei bottoni. L’industria per la perforazione del suolo conosce una breve stagione produttiva (nel 1951 vengono perforati 39 km per l’estrazione del petrolio, mentre nel ’46 erano solo 4), che comunque trascina l’industria meccanica con la costruzione di macchine per la perforazione di pozzi. La fabbricazione di macchine agricole costituisce l’altro ramo della meccanica con una decina di stabilimenti. Tra i principali la Longhini, la Simac, la Saima, la Corradini Paolo, la Arbos-Bubba. La Carenzi continua la produzione di rimorchi per il trasporto su strada mentre la Bassi e C. opera nel settore della raccorderia e la Cesare Schiavi produce macchinari per la stampa. Impiegano manodopera anche i centri per la produzione di energia elettrica e il Consorzio agrario provinciale, ricostruito dopo i bombardamenti con i suoi stabilimenti per la produzione di acido solforico e perfosfato minerale. I maglifici passano da 6 nel 1946 a 9 nel 1952 a 22 nel 1956, con prevalenti maestranze femminili.

Un incremento notevole si registra nella produzione dello zucchero, che passa da 303 mila quintali prodotti nel 1951 a 347 mila nel 1955, e nell’industria dei laterizi, grazie alle 17 fornaci presenti sul territorio. Anche il ritrovamento dei giacimenti di idrocarburi a Cortemaggiore contribuisce allo sviluppo della produzione di petrolio e metano e alla creazione di una raffineria Agip proprio vicino a Cortemaggiore. In questi anni si assiste anche alla trasformazione dell’antica raffineria di Fiorenzuola a opera della Società Petroli d’Italia nel 1955 e all’ampliamento e all’ammodernamento della Centrale Emilia di Piacenza a opera della Società Edison dal 1951, mentre continuano le attività di perforazione della Società Ballerini nella zona di Podenzano, pur avendo quest ceduto 1l 51% della società all’Agip. Nel settore dell’industria manifatturiera, si segnala l’industria conserviera piacentina (ICA), mentre nel settore caseario nascono a Fiorenzuola e a Castel San Giovanni due nuovi centri di pastorizzazione del latte che allargano la rete di distribuzione alimentare nei comuni della provincia, senza dimenticare la lavorazione della barbabietola con lo zuccherificio Spica Lauis di Piacenza. L’obiettivo della ripresa economica, unitamente alla divisione politica e sindacale delle forze che avevano combattuto il nazi-fascismo pongono seri problemi all’iniziativa della Camera del Lavoro, le cui energie sono spese nella ripresa delle trattative contrattuali, nella difesa del potere d’acquisto dei salari con gli aggiornamenti di contingenza, nell’organizzazione delle mobilitazioni che tentano di contenere il costo della ristrutturazione che la rinascita porta con sé, in termini di licenziamenti e aumento della disoccupazione.

Il 1° maggio 1946 viene inaugurata in via Borghetto 15 la sede restituita alla Camera del Lavoro (guidata allora da Sergio Podestà con una segreteria composta da Luigi Bertè, Enrico Cademartiri, Giuseppe Contini, Giuseppe Forlini e Guerrino Sbolli) con un atto fortemente simbolico. Il fascismo, che nella nostra provincia ha avuto caratteristiche legate soprattutto agli interessi degli agrari aveva vinto soprattutto eliminando i rappresentanti, le sedi, i simboli delle organizzazioni dei lavoratori e, in particolare, della Cdl, che era stata al centro delle grandi lotte del “biennio rosso”, conquistando soprattutto attraverso le Leghe contadine quasi 150.000 iscritti e Patti agrari estremamente avanzati per il tempo.

Nel ‘49, riprendendo la battaglia vinta prima del fascismo, la CdL rivendica la gestione dell’ufficio di collocamento per la manodopera agricola al sindacato stesso.

La dura repressione nei confronti dei militanti della Cgil in fabbrica e nelle campagne agli inizi degli anni Cinquanta viene contrastata in alcune fabbriche come la Faini di Fiorenzuola, l’Rdb e l’Agip.

Un primo terreno di scontro – anche a livello locale – è quello della cosiddetta “Legge Stralcio” n. 841 del 21 ottobre 1950, che pone mano alla riforma agraria e che viene elaborata senza alcun contributo da parte dei sindacati, indeboliti dalla scissione e incapaci di individuare idonee strategie di rinnovamento in un settore così delicato dell’economia. Anche a Piacenza, come nel resto della regione, il mondo agrario fa sentire la sua voce partecipando a diverse manifestazioni di protesta.

Altri terreni di scontro sono quelli riguardanti il contratto delle mondariso che, nel 1953, si vedono riconosciute le agognate maggiorazioni, e la corretta applicazione della legge sulla maternità finalizzata all’apertura di asili aziendali e all’istituzione di consultori e sale ostetriche nei Comuni.

I disoccupati nel ‘52,  anche in seguito al fallimento delle industrie Ghezzi e Bubba, risultano 12.702;  nel ‘53 scendono a 8.823 per la ripresa dei settori dell’agricoltura e dei laterizi.

La Cgil è costretta a tener conto della gravissima crisi generale causata dal conflitto, dalla distruzione dell’apparato produttivo e delle vie di comunicazione e collabora sottoscrivendo fino al 1947 delle “tregue salariali”; cerca di difendere il potere d’acquisto dei lavoratori dell’industria contrattando ogni due mesi la revisione della contingenza nelle paghe dei lavoratori che segue l’inflazione e il caro prezzi (a Piacenza, la Confindustria, la Cgil e l’ufficio del lavoro, ad esempio, ne concordano un aumento medio attorno al 15%) e contratta con gli agricoltori le paghe degli avventizi, in particolare per i periodi di mietitura e trebbiatura, secondo. Nella seconda metà degli anni Quaranta il sindacato piacentino è impegnato nella gestione del conflitto sociale nei comparti dell’agricoltura e dell’industria e delle problematiche che accomunano i due settori: la stagionalità del rapporto di lavoro, l’intensivo sfruttamento delle maestranze e i bassi salari. Nei due anni successivi alla guerra il sindacato riesce a concludere una serie di accordi favorevoli ai salariati fissi, mentre per sottrarre il proletariato rurale dalle conseguenze dei contrasti di interesse delle forze padronali e industriali arriva a formulare una proposta di abolizione dell’istituto della compartecipazione delle aziende che stipulano contratti annuali per il conferimento in blocco della materia prima: il sistema tuttavia è ben radicato nel mondo del lavoro salariato e nel sistema agro-manifatturiero locale e all’organizzazione sindacale non resta che cercare di affermare il suo ruolo contrattuale, garantendo una rappresentanza omogenea e cercando di legittimarsi sul piano istituzionale con l’obiettivo di costruire e stabilizzare il potere di contrattazione dei rapporti di lavoro.

Nei primi anni Cinquanta la conferenza economica della Camera del Lavoro di Piacenza, che nel 1952 conta 45.732 iscritti ed è guidata da Amerigo Clocchiatti, fotografa una realtà provinciale costretta a misurarsi con un incremento della disoccupazione e una produzione industriale e agricola i cui progressi si ripercuotono, spesso negativamente, sul mercato del lavoro, ma soprattutto con la necessità di sollecitare la  realizzazione di un piano straordinario di opere di bonifica e irrigazione agricola, di costruzione delle infrastrutture, delle abitazioni bombardate, malsane e insufficienti.

Gli anni Cinquanta sono anche quelli dello sfratto dalla storica sede di via Borghetto, che avviene il 4 ottobre 1954: Clocchiatti, insieme al vice segretario nazionale della Cgil Fernando Santi e al segretario Giuseppe Di Vittorio, apre una sottoscrizione per la costruzione di una nuova sede, in via XXIV Maggio, che viene inaugurata il 2 giugno 1956.

Nel maggio 1945 nel Comune di Piacenza si insedia un’amministrazione nominata dal Comitato di Liberazione Nazionale Provinciale, sindaco il comunista Giuseppe Visconti che resta in carica esercitando quasi esclusivamente funzioni di ordinaria amministrazione fino alle elezioni amministrative del 31 marzo 1946. Alle elezioni, le liste di sinistra composte da Pci, Psiup e Indipendenti di sinistra conquistano 36 delle 47 amministrazioni comunali della provincia di Piacenza. In città viene riconfermato Visconti; nel febbraio 1947 il comunista Ettore Crovini prende il posto di Visconti, coinvolto in  un processo per irregolarità nel bilancio dell’Ente combustibili, da cui verrà completamente assolto negli anni successivi.

Alle elezioni del 1951, la Dc riesce a garantirsi il governo di 23 comuni con propri esponenti e indipendenti di centro. Le sinistre restano invece alla guida di 17 giunte con 165 eletti, mentre i socialisti eleggono 151 consiglieri. Il Psli elegge invece 27 consiglieri, 7 assessori e un sindaco.

Per quanto riguarda il Comune di Piacenza, nel marzo 1950 il commissario prefettizio Carlo Prestamburgo subentra al comunista Ettore Crovini e resta in carica fino alle elezioni del 1951. All’inizio del decennio il clima politico è acceso e anche la campagna elettorale è imperniata su una forte polarizzazione tra il blocco dei partiti conservatori e i socialcomunisti: per il rinnovo dell’amministrazione comunale di Piacenza entrano in lizza ben nove liste. Viene eletto il democristiano Giacomo Chiapponi.

L’amministrazione provinciale è retta dal democristiano Francesco Pallastrelli, a cui segue nel gennaio del ‘48 l’ingegner Ettore Martini.

 

Bibliografia, sitografia, archivi

Camera di Commercio, Industria e Agricoltura Ufficio Provinciale di Statistica Piacenza, Indici della ricostruzione nella provincia di Piacenza, Unione Tipografica Piacentina, Piacenza, 1952
Camera di Commercio, Industria e Agricoltura, Economia e disoccupazione. Cenni sulle caratteristiche dell’economia piacentina in relazione al fenomeno della disoccupazione, Piacenza, 1952
Camera di Commercio, Industria e Agricoltura, I caratteri economici della provincia di Piacenza, “Sintesi Economica”, f. 6, giugno 1953, Tipografia Unione Arti Grafiche, Città di Castello, 1953
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Camera di Commercio, Industria e Agricoltura Ufficio Provinciale di Statistica Piacenza, Indici della vita economica della provincia di Piacenza. Anni 1962-1957, Tipografia Maserati, Piacenza, 1957
G. Mazzocchi, La Cassa di risparmio di Piacenza e l’economia della provincia: 1861-1961, Tipografia Scotti, Piacenza, 1961
G. Magistrali, Gli amministratori locali nella provincia di Piacenza dal 1946 al 1970, Tesi di laurea, Università degli studi di Milano, 1989 (in deposito tutelato presso l’Isrec di Piacenza)
I. Legranzini, Il ceto politico municipale di Piacenza dal 1946 al 1990: un’analisi empirica, Tesi di laurea, Università degli studi di Pavia, 1992
Archivio CGIL di Piacenza, ISREC Piacenza

Scenari locali