Faini

(in Archivio privato Prospero Cravedi)

A Fiorenzuola lo stabilimento tessile Faini viene aperto da Donato Faini nel 1930 in un edificio in corso Garibaldi concesso dal Comune in uso gratuito, mentre a Piacenza la ditta si installa nel 1936 nei locali comunali in via Beverora: nel 1962 la sede cittadina viene chiusa perché Raffaello – figlio di Donato – si rifiuta di pagare il canone d’affitto al Comune. In quegli anni sono circa 250 le maestranze impiegate nella sede cittadina e ricollocate in altri maglifici del territorio e nella fabbrica di Fiorenzuola che ne conta 200.

A Fiorenzuola, fino al 1960, la ditta continua ad occupare l’edificio di corso Garibaldi gratuitamente, nonostante le trattative con il Comune per la costruzione di un nuovo stabilimento: in quell’anno viene stipulata una convenzione che prevede la concessione gratuita del terreno necessario e l’esenzione venticinquennale delle tasse comunali: la convenzione però di fatto non è applicata perché la ditta all’ultimo momento non invia copia del progetto del nuovo stabilimento. Nel 1963 un’ordinanza comunale sancisce la chiusura della fabbrica a causa di alcuni cedimenti all’interno dell’edificio: successivamente vengono eseguiti alcuni lavori di emergenza che consentono la riapertura del maglificio soprattutto per evitare una disoccupazione operaia. È sempre nel 1963 che la Cisl promuove uno sciopero finalizzato a ottenere un miglioramento delle condizioni salariali e il riconoscimento delle ferie.

Nel 1968 viene stipulata una seconda convenzione fra Faini e il Comune che prevede, ancora una volta, la cessione gratuita del terreno urbanizzato per l’attivazione di una nuova fabbrica. Ancora una volta tuttavia l’accordo non va in porto a causa dell’imprenditore. Nel frattempo la Commissione ufficiale dichiara l’inagibilità e la pericolosità dell’edificio di corso Garibaldi. Nel 1969 viene proclamato uno sciopero per sbloccare la trattativa fra azienda e Comune e nel contempo protestare contro l’inconcludenza di Faini. Nel 1970 si arriva alla terza convenzione controfirmata per accettazione da Faini e approvata poi dal consiglio comunale e dalla giunta provinciale amministrativa: al momento della firma del rogito per il trasferimento del terreno l’imprenditore avanza la richiesta che subordina la costruzione dello stabilimento alla cessione di un mutuo a medio termine da parte degli istituti di credito. È il 22 febbraio del 1971 quando le lavoratrici dichiarano aperta la lotta per il rispetto dell’ultimo impegno preso dall’imprenditore: per cinquanta giorni l’azienda viene occupata dalle lavoratrici che insieme agli esponenti sindacali occupano persino l’aula consiliare della Provincia per quasi undici giorni. Dopo la Provincia, la protesta delle operaie non si ferma e arriva fino a Salsomaggiore: in concomitanza con la celebrazione di Miss Italia, le operaie sfilano con addosso la fascia da “Miss Disoccupata”. L’evento suscita scalpore: il parroco di Fiorenzuola don Luigi Bergamaschi arriva a parlare della situazione dell’azienda in una omelia della messa domenicale per sgombrare il campo dalle maldicenze sulle operaie che iniziano a circolare durante l’occupazione. I circa sei mesi di lotta non vanno comunque a buon fine: il 20 marzo 1972 Raffaello Faini muore e il 13 luglio il Tribunale di Milano dichiara il fallimento della ditta “Donato Faini e figli”.

 

Bibliografia

La rivoluzione dal basso: protagonismo femminile nelle lotte sindacali, in G. Dragoni, E. Gazzola, Anni operai. Piacenza 1969-1972. Memorie da un lungo autunno caldo, Scritture, Piacenza, 2019
D. Ferrari (a cura di), Faini: una storia di donne, lavoro e sindacato, Cisl Parma Piacenza, Piacenza, 2019
G.L. Basini, M. Cattini, L’industrializzazione a Piacenza dal 1860 al 1940, Associazione degli industriali della provincia di Piacenza, 1985
Carmen Artocchini, Piacenza tricot: maglifici piacentini dall’800 ai giorni nostri in “Buon Natale Piacenza”, numero unico, Piacenza, Tipolito Farnese, 1979