1945-1955 – La Cgil nello scenario generale

Alla fine del conflitto, i partiti che hanno guidato la lotta di Liberazione, dopo aver governato insieme il paese all’insegna dell’unità antifascista, si sono divise a causa di un mutato scenario internazionale e della divisione in due blocchi a causa dello sviluppo della “guerra fredda”. L’Italia è un paese strategicamente importante per la sua configurazione geografica nell’area del Mediterraneo. Fortissima è dunque la pressione americana per ridurre e isolare la presenza del Partito Comunista, che ha accresciuto notevolmente la sua forza – soprattutto fra i lavoratori – durante gli anni della lotta al fascismo, e del Partito Socialista, allora alleato con il PCI. 

Il contributo dei dirigenti della CGIL ai lavori della Costituente permette alla nuova Costituzione Italiana di assumere il lavoro quale valore fondamentale della vita civile e sociale e di sancire l’assoluta libertà e volontarietà dell’organizzazione sindacale.

Lasciati fuori dal governo già nel 1947, i socialisti e i comunisti uniti nel Fronte popolare subiscono nelle elezioni del 18 aprile 1948 una dura sconfitta e sono sospinti stabilmente all’opposizione. Il 18 aprile 1848, nelle elezioni politiche, anche i piacentini seguono la svolta centrista: le elezioni politiche vedono la partecipazione al voto del 95% degli aventi diritto in provincia e del 97% in città: la DC ottiene il 46,08% (nel ‘46 per l’Assemblea costituente aveva ottenuto il 37,3% dei voti), il Fronte popolare di comunisti e socialisti il 39,83, mentre i due partiti avevano raggiunto la maggioranza del 56,8% in precedenza.

Per oltre un decennio l’Italia sarà governata da coalizioni “centriste”, imperniate sul partito di maggioranza, la Democrazia cristiana, con cui collaborano gli alleati “laici” socialdemocratici, repubblicani e liberali. È in questo contesto di profonda frattura ideale e politica che matura nell’estate del 1948 la fine dell’unità sindacale nella Cgil, fondata con il Patto di Roma nel 1944, e la formazione nel 1950 di Cisl e Uil.

L’Italia dopo il conflitto è distrutta: mancano le materie prime e il combustibile, le reti stradale e ferroviarie sono devastate dai bombardamenti, l’inflazione è alle stelle e si diffonde il mercato nero. La ricostruzione del paese avviene all’insegna del libero mercato, i suoi costi pesano soprattutto sulle spalle dei lavoratori, le cui condizioni di vita sono difficili per le basse retribuzioni, il ricatto permanente della disoccupazione, l’assenza di diritti all’interno dei luoghi di lavoro. Particolarmente difficile è la situazione nell’industria, che deve riconvertirsi da un’economia di guerra a una di pace, in grado di reggere sul mercato internazionale. Il paese è spaccato: da un lato le forze di governo, che beneficiano dell’appoggio degli Stati Uniti, i quali varano un grande piano di aiuti all’Europa (il Piano Marshall); dall’altro le forze di opposizione egemonizzate dal Partito comunista, condizionate dal legame ideologico e politico con l’Unione Sovietica e ostili al Piano Marshall. È il riflesso in Italia dell’aspro conflitto internazionale che vede il mondo spaccato in due: l’Ovest dominato dagli Stati Uniti e l’Est dominato dall’Urss (la “guerra fredda”).

La CGIL, di fronte ai gravi problemi di ricostruzione del paese, stipula direttamente gli accordi nazionali che fissano salari, paga base, indennità di contingenza e assegni familiari, decidendo una “tregua salariale” per favorire il rientro dell’inflazione.

Al I congresso nazionale, che si svolge a Firenze nel giugno 1947, la CGIL registra 5.735.000 iscritti. Segretario generale viene eletto Giuseppe Di Vittorio. Nonostante l’impegno personale di Di Vittorio a mantenere l’unità della CGIL, il rischio di una rottura sindacale tra i lavoratori socialcomunisti e quelli cattolici è sempre più probabile, e la situazione precipita in occasione dell’attentato al segretario comunista Palmiro Togliatti, avvenuto fuori del Parlamento il 14 luglio 1948, con la decisione della CGIL di proclamare uno sciopero generale.

Pochi giorni dopo lo sciopero la componente democristiana decise la scissione dalla CGIL, investendo temporaneamente il proprio impegno sindacale sulle ACLI. Il nuovo sindacato fu denominato inizialmente Libera CGIL e poi, nel 1950, definitivamente Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori CISL. Contemporaneamente, sempre nel 1950, escono dalla CGIL anche i centristi laici e socialdemocratici e fondano la Federazione Italiana del Lavoro FLI che presto si sciolse e diede vita all’Unione Italiana del Lavoro UIL.

Durissima è anche la repressione poliziesca. Il Ministro degli interni Mario Scelba scatena i reparti della “Celere” contro le manifestazioni operaie e non si esita a sparare sui lavoratori. Dopo la strage di stampo mafioso a Portella della Ginestra in Sicilia, il 1º maggio 1947, dove la banda di Salvatore Giuliano ha sparato sulla folla di partecipanti alla Festa dei Lavoratori provocando un eccidio, altre uccisioni si verificano negli anni successivi durante le grandi lotte di braccianti e contadini, dirette dalla CGIL, per l’occupazione delle terre.

Gli anni 50 sono gli anni della contrapposizione frontale fra i principali sindacati, che subiscono il collateralismo con i partiti politici di riferimento. La CISL sostiene i governi centristi della Democrazia Cristiana e cerca l’insediamento nelle aziende con una politica negoziale basata sulla moderazione e la collaborazione con l’impresa. La CGIL, classista e anticapitalista, sostiene le grandi lotte politiche generali (ad esempio nel gennaio e nel marzo del 1953, quando proclama lo sciopero generale contro la “legge truffa”).

Emergono inoltre differenze fondamentali anche sulla concezione della rappresentanza e della democrazia sindacale: la CGIL, che ha una visione della rappresentanza di tipo “universalistico”, sostiene che l’azione negoziale, riguardando tutti i lavoratori, iscritti e non iscritti al sindacato, debba essere validata “dall’universo” dei lavoratori; la CISL ritiene invece di dover far riferimento principalmente a coloro che hanno liberamente deciso di associarsi al sindacato, esprimendo contrarietà all’istituto del referendum e alla definizione legislativa della rappresentanza, come pure è previsto dall’art. 39 della Costituzione Italiana.

La CGIL, guidata dal comunista Giuseppe Di Vittorio coadiuvato dal socialista Fernando Santi, reagisce ai durissimi attacchi di Governo e Confindustria lanciando il “Piano del lavoro”, una grande iniziativa politica con al centro un’altra idea di sviluppo economico e sociale. Il Piano del lavoro, che non fu recepito dal governo ma contribuì a rompere il suo isolamento politico, a parlare a tutto il paese, a tenere uniti lavoratori occupati e disoccupati, gli operai delle fabbriche del Nord e i braccianti delle campagne del Sud, prevede la nazionalizzazione delle aziende elettriche, la realizzazione di un vasto programma di opere pubbliche e di edilizia popolare, la costituzione di un ente nazionale per la bonifica e l’irrigazione delle terre. Si realizzano anche, a sostegno del Piano, forme di lotta originali come lo “sciopero alla rovescia”.

Il contrasto con la CISL e la UIL è all’apice e mentre la CGIL si batte per le grandi questioni nazionali, soprattutto la CISL persegue il proprio radicamento nelle fabbriche siglando numerosi accordi separati. Le stesse elezioni delle Commissioni interne, nei luoghi di lavoro, si svolgono all’insegna della più aspra contrapposizione ideologica fra le organizzazioni sindacali, riflettendo le scontro frontale delle elezioni politiche.

In un clima di pesante anticomunismo, scatta – dopo la rottura sindacale – una dura repressione nei confronti dei militanti della CGIL in fabbrica e nelle campagne. Molti attivisti sono licenziati, molti altri costretti nei reparti “confino” dove vengono umiliati anche quadri di grande professionalità. L’ambasciatrice americana in Italia, Clare Boothe Luce, dichiara che le imprese dove i sindacalisti della CGIL avessero ottenuto più del 50% dei voti alle elezioni della Commissione Interna non avrebbero potuto accedere a contratti con gli Stati Uniti d’America. Papa Pio XII lancia la scomunica ai comunisti e favorisce l’alleanza elettorale della DC con il MSI per il Comune di Roma.

 

Bibliografia

J Torre Santos (a cura di), Il sindacato nell’Italia del secondo dopoguerra, Unicopli 2008

Scenari generali